Perché analfabit

Dice, “scrivi qualcosa”… hai voglia te, ce n’avrei da scrivere qualcosa; il fatto è che dici “ora lo faccio”, o “su questo ci faccio un articolo…”, e poi chissà cosa ti prende, sarà il blocco dello scrittore, nemmeno fossi uno scrittore, e non dico volutamente “scrittrice”, tanto una che si chiama Daniela è difficile che sia maschio, io tutto questo sindaco e sindaca non lo capisco proprio… toh, sto scrivendo! Ah, ai miei tempi si diceva “sindachessa”. Mio figlio maggiore, quando era piccolo (oggi ha quarantun anni ed è un metro e novantadue) una volta che dissi “ai miei tempi…” mi fa “mamma, ma ai tuoi tempi c’erano le caverne?”… Mah, chissà dove l’aveva presa! Che dicevo? Boh? E allora vado avanti.
Sto aspettando di mettere su un blog sul serio, dice “scrivi sul tuo sito personale!” ma col mio nome e cognome (www.danielasanterini.it), che un sanno proprio di nulla, sarà perché mi son venuti a noia, ma diciamo che sono proprio troppo lunghi, va via l’ispirazione! Allora dovrei scrivere su quello della musica (www.nuovemuse.it), che ha un settore blog, ma è dedicato principalmente alla musica, e scriverci di tutto, come si fa? Ce n’ho un altro di siti (lo so, sono troppi), e come nome è decisamente il migliore. L’avevo fatto per parlare di computer e informatica, e c’ha un titolo così bellino che anche se l’ho lasciato lì a dormire non ho mai avuto il coraggio di eliminarlo, per non commettere siticidio.E’ stata un’ispirazione di quelle che o vengono o non vengono (bel discorso) ma quando vengono devi coglierle al volo. Pensa, si chiama www.analfabit.it!
E allora il blog lo faccio lì, ho deciso. Pazienza se il nome porta a un settore specifico, ma tanto i blog si fanno al computer, quindi i bit c’entrano eccome, anzi, ne sono una componente fondamentale! Mi ricordo quando nel 73, trafitta dal colpo di fulmine per i computer, mi iscrissi al corso programmatori Cobol al CIM di Firenze, il bit fu la primissima informazione che mi dettero. Certo che i computer erano un’altra cosa da oggi! Bisognava, dato un problema, fare uno schema e svilupparlo in ordini dati in inglese, con una precisione maniacale, bastava un punto messo male a non far girare il programma. Sì, perché il computer “girava”: aveva i nastri come quelli degli antichi registratori, magari più grandi; noi si passavano le istruzioni alle perforatrici, che non erano martelli pneumatici, ma di solito donne che traducevano il linguaggio in buchi fatti su schede di carta, che messe nel computer facevano, appunto, girare il programma. Se girava. Noi eravamo la “teoria”, loro la pratica. Infatti un giorno, camminando verso la stazione di Firenze per tornare a Pontedera, passando da un grande viale fui attratta da vetrine al di là delle quali si vedevano degli armadi di metallo con lucine rosse lampeggianti… Ci misi un bel po’ di tempo a capire che erano computer.
Il primo “personal” lo acquistai nel ’96 ad Alghero. Il negoziante si ostinava ad usare termini inglesi che non capivo, comunque presi il computer e lo portai a casa. Lo accesi. E rimasi a guardare lo schermo. Il mouse da una parte, e sul desktop due o tre icone. Il mio sguardo continuava ad andare dall’uno all’altro, mouse e computer, impotente.
Il giorno dopo tornai al negozio: “Scusi, ma mi dice come ci si chiacchiera, con questo qui?”
Se n’è fatta di strada eh?
Quindi analfabit ha un sapore speciale per me, fra ricordo, attualità e un pizzico di ironia.
Pensare che volevo scrivere su quello che ascolto alla radio o vedo in tv ogni giorno… Sarà per un’altra volta!
Ora dedico dieci minuti a sistemare i cassetti (e mi scollo…) e poi a giocare con l’Eredità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *